Pubblicato il: 09/05/2025
Anche nel contratto di locazione, come in qualsiasi altro accordo tra due parti, è possibile modificare le condizioni inizialmente stabilite. Se ti trovi nella condizione di dover chiedere una riduzione del canone d’affitto, sappi che è legalmente possibile farlo, a patto che il proprietario sia d’accordo.
La legge italiana si basa infatti sul principio della vincolatività contrattuale: una volta firmato un contratto, le clausole devono essere rispettate da entrambe le parti, salvo diverso accordo. Questo vale anche per il canone di affitto.
Se riesci a trovare un’intesa con il locatore, potete formalizzare la nuova cifra attraverso un’apposita scrittura privata. È importante ricordare che la modifica va registrata all’Agenzia delle Entrate per essere valida a tutti gli effetti, ma la procedura è semplice e, in questo caso, esente da imposta di registro.
Il canone di locazione non può essere cambiato unilateralmente. Né l’inquilino né il proprietario hanno il diritto di modificare da soli l’importo previsto dal contratto. Farlo, senza il consenso dell’altra parte, equivale a una violazione degli accordi e può comportare conseguenze legali per inadempimento.
Detto questo, se nel corso del tempo cambiano le condizioni economiche o personali – come spesso accade per chi vive in affitto – l’inquilino ha pieno diritto di proporre una revisione del canone. La legge non vieta questa possibilità, purché la richiesta venga discussa e accettata da entrambe le parti.
Quando c’è disponibilità al dialogo, è assolutamente legittimo rinegoziare l’importo da versare, adattandolo alle nuove esigenze. L’importante è formalizzare tutto in modo corretto, per tutelare entrambe le posizioni.
Per chiedere una riduzione del canone di locazione è necessario che siano intervenute nuove circostanze rilevanti rispetto alla situazione iniziale. La richiesta, infatti, deve poggiare su motivazioni concrete, come ad esempio un cambiamento improvviso della propria condizione economica.
Un caso tipico è la perdita del lavoro o la riduzione significativa dell’orario lavorativo, che incidono direttamente sulla capacità dell’inquilino di far fronte al pagamento del canone originariamente pattuito. In queste situazioni, diventa legittimo chiedere al proprietario di rivedere gli importi, anche se non esiste un obbligo legale per il locatore ad accettare.
Tuttavia, in presenza di difficoltà oggettive e documentabili, spesso il buon senso – e talvolta anche l’interesse del proprietario nel mantenere un inquilino affidabile – porta a trovare un accordo che soddisfi entrambe le parti.
Diverso è il caso in cui, dopo la firma del contratto, emergano difetti strutturali o problemi rilevanti all’interno dell’abitazione che limitano seriamente la possibilità di viverci in modo adeguato. In queste circostanze, il locatore può essere obbligato ad accettare una riduzione del canone.
Affinché ciò avvenga, è necessario che i vizi siano emersi successivamente alla stipula del contratto e che non fossero visibili al momento dell’ingresso nell’immobile, ovvero siano considerati “occulti”. Inoltre, se tali problemi erano noti al proprietario e non sono stati dichiarati, la responsabilità ricade su di lui.
In presenza di queste condizioni, il conduttore ha pieno diritto a richiedere un canone più basso, proporzionato alla reale fruibilità dell’immobile.
È importante distinguere tra una richiesta facoltativa e una situazione che impone legalmente una revisione del canone. In caso di difficoltà economiche, come la perdita del lavoro, l’inquilino può certamente proporre una riduzione dell’affitto, ma il proprietario non è obbligato ad accettare. Diverso, come già visto, è il caso in cui l’immobile presenti difetti nascosti: in quel contesto, l’obbligo del locatore a ridurre il canone può essere giuridicamente fondato.
Se però non si raggiunge un nuovo accordo consensuale, e l’inquilino non riesce a corrispondere puntualmente il canone stabilito, il mancato pagamento può essere considerato un’inadempienza. Quando il ritardo supera i venti giorni rispetto alla scadenza, il proprietario ha la facoltà di avviare la procedura di sfratto per morosità.
Ecco perché, anche in situazioni di difficoltà, è fondamentale dialogare con il locatore e cercare una soluzione condivisa, prima che la situazione si aggravi sul piano legale.
In presenza di circostanze straordinarie e indipendenti dalla propria volontà, l’inquilino può esercitare il diritto di recesso anticipato per giusta causa. Si tratta di una possibilità prevista dalla legge che consente al conduttore di risolvere il contratto di locazione prima della sua naturale scadenza, senza penalità.
Affinché questo diritto sia valido, devono però sussistere tre condizioni fondamentali: l’evento deve essere successivo alla firma del contratto, non deve essere prevedibile, e deve rendere oggettivamente insostenibile la prosecuzione dell’accordo.
Esempi concreti includono la perdita del lavoro, una significativa riduzione del reddito – sia per chi è dipendente sia per chi lavora in proprio – o altri eventi gravi che compromettono la stabilità economica dell’inquilino.
Va infine ricordato che, anche in caso di recesso per giusta causa, la legge impone all’inquilino un preavviso minimo di sei mesi, durante i quali è comunque tenuto a pagare il canone, salvo diverso accordo con il proprietario.
Una volta raggiunta un’intesa con il proprietario sulla riduzione del canone, è fondamentale renderla ufficiale attraverso la registrazione dell’accordo. Questo passaggio, sebbene spesso trascurato, è essenziale per garantire la validità dell’intesa e tutelare entrambe le parti.
La registrazione deve essere effettuata tramite il Modello RLI, lo stesso utilizzato per la registrazione iniziale del contratto di locazione e per ogni successiva modifica. Si tratta di un adempimento che può essere svolto comodamente online, attraverso i servizi dell’Agenzia delle Entrate.
Oltre al modello compilato, va allegata la scrittura privata in cui viene specificata la nuova entità del canone, firmata da entrambe le parti. Questo documento ha valore legale e certifica che la modifica è frutto di un accordo reciproco.
Formalizzare correttamente la riduzione consente all’inquilino di beneficiare anche di eventuali agevolazioni fiscali, oltre ad evitare contestazioni future.
Dopo aver concordato la riduzione dell’affitto, è necessario comunicarla all’Agenzia delle Entrate entro 12 mesi dalla data di rinegoziazione. Se si agisce entro questo termine, la procedura può essere svolta interamente online, tramite il Modello RLI telematico, disponibile sul sito dell’Agenzia.
La comunicazione si effettua compilando la sezione specifica del modello relativa alla “Rinegoziazione del canone”, indicando i dati essenziali del contratto in essere, tra cui la data di stipula, il numero di pagine e di copie, il regime fiscale applicato (ad esempio, la cedolare secca), il periodo di validità della modifica e il nuovo importo stabilito.
È importante avere a portata di mano i riferimenti del contratto originario già registrato. Una volta trasmesso il modello RLI con le informazioni corrette, non è previsto alcun pagamento di imposta di registro né di bollo, a condizione che si tratti di una riduzione del canone.
Superato il termine annuale, la comunicazione dovrà invece essere effettuata direttamente presso gli uffici territoriali dell’Agenzia.
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